15 ottobre 2020
Oggi ho imparato una cosa davvero importante per me che insegno ai miei figli: ciò che io spiego in modo semplice per me, non è detto che per loro sia semplice da comprendere.
Lo so, apparentemente sembra un concetto ovvio e immediato. Ma non lo è.
Non lo era per me fino a pochi minuti fa.
Mio figlio è appassionato di cubi di Rubik. Mentre ne stava risolvendo uno, ha iniziato a spiegarmi il procedimento. Lui parlava in modo semplice, fermandosi ad ogni passaggio, mostrandomi i quadretti, le posizioni e i colori; la sua spiegazione era fluida e semplice. Eppure io mi sono persa più volte, non sono riuscita a seguire, non ho capito e non saprei né ripetere né riprodurre ciò che mi ha pazientemente spiegato e mostrato più volte.
Nella sua mente era tutto così chiaro e assodato che dalla sua spiegazione sembrava semplice. Ma nella mia mente era tutto confuso e senza riferimento. La mia mente si rifiutava di immagazzinare quei dati perché non sapeva dove metterli e cosa farne.
Nella mente di mio figlio invece quei dati hanno senso, hanno un luogo mnemonico e hanno dei riferimenti. Esistono.
È stata un’esperienza illuminante. Quante volte do per scontato che dati e informazioni che esistono già nella mia mente, siano “facili” per loro? Che la loro mente possa incamerare dati e informazioni “facilmente”, solo perché nella mia sono assodati da tempo?
Ho provato la sensazione di perdermi dentro la sua spiegazione, di non capire, di invidiare anche la sua capacità e la facilità con cui ne parlava.
Ho pensato a me quando spiego. Quando mi guardano con gli occhi di chi non capisce, e io con gli occhi di chi si domanda come fanno a non capire… Ecco, ora lo so come fanno a non capire; e so come ci si sente: persi. Persi dietro a un filo e a un ragionamento che non si riesce a raggiungere, che scappa via per quanto lo insegui.
Non è una bella sensazione.
E io sono l’adulto.
Io sono l’adulto, e posso vivere in modalità protetta il fallimento, l’insuccesso, la frustrazione se non capisco come si risolve il cubo di Rubik 7×7 o 10×10. Non vengo giudicato in base a questo, né sgridato. Io posso non capire, non imparare qualcosa che non mi appartiene, e forse non mi vuole appartenere.
Auguro a tutti i genitori di fare questa esperienza, perché è davvero una luce chiara sulle tante facce e modalità dell’apprendimento, e quindi dell’insegnamento.
E forse, proprio come con i cubi di Rubik, dobbiamo solo trovare la strategia giusta perché ognuno trovi il suo posto.


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